Improvvisa la sera ci ha toccati
me, le mie carte, la pezza di luce
sui mattoni della stanza.
E' tanto imbrunito
che mi sento addosso paura.
Ha ripreso la vita
dei piccoli rumori.
Sono sui tetti le anime
dei morti del vicinato,
camminano sulle zampe dei gatti.
“Il Cielo non prende niente senza ripagare smisuratamente” (Edith Stein)
Arrivò così la sera come una caduta di foglie al frangere del vento e niente m’impaurì né il silenzio né la pace né la strada smarrita sulla fronte.
Quale schianto avrebbe potuto piegarmi se la bocca benediva il fango a ogni respiro e tutte le pietà sembravano straniere riflesse nella croce di mio padre.
Arrivò così la sera, in un cercare di sguardi col ticchettio dell’orologio come prova di quell’attesa santa deposta sulla sorte senza una preghiera.
(a Edith Stein)
[Marina Minet, da Scritti d'inverno, Print Me Editore 2017]
Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.
L’aria è piena di sangue,
e gli ulivi, e le foglie del tabacco,
e ancora non s’accende un lume. Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s’ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora
nell’ombra in cui rientra decapitato
un carrettiere dalle cave. Il buio,
com’è lungo nel Sud! Tardi s’accendono
le luci delle case e dei fanali. Le bambine negli orti
ad ogni grido aggiungono una foglia
alla luna e al basilico.
Quando la pioggia cominciò a bagnarmi il cielo non reggeva nubi c'era solo gente intorno luci a festa raggianti di menzogna brillavano a misura sopra il capo come una bestemmia
L’onore del veggente sta nel pianto nell’ora che non viene, ma assassina chiude tutti i giorni in uno solo
All’orizzonte un nodo, la sorte la crepa delle nubi, la pioggia l’attesa il lutto sul selciato
Il senso inavvertito quasi un’onda il ventre covato e partorito dal timore l’avvenire